Cammino di Santiago (6parte)

Non sembra possibile, ma siamo in Galizia !. Non avremmo mai pensato di arrivarci. Superate le ultime asperità e difficoltà, il Camino ora si snoda in paesaggi verdeggianti, ombreggiati e molto piovosi; il clima atlantico, anche se siamo a più di 100 Km. dal mare e separati dalla catena montagnosa delle Asturie, comincia a farsi sentire. Nella tappa verso Sarria, all’altezza di Tricastela, vi sono due opzioni. Scegliamo l’itinerario che passa dal Monastero di Samos, dopo aver raccolto una pietra che, come vuole la tradizione deve essere portata fino a Castaneda dove esistevano grandi forni alimentati dal legno di castagno che servivano a cuocere la calce per la cattedrale di Santiago. Il monastero, patrimonio dell’Umanità, è molto bello fuori, ma molto vuoto dentro, una delusione.

La lunghissima tappa, che abbiamo diviso in due tratti, giunge a Sarria. Bella cittadina, è diventata il punto di partenza per coloro che decidono di fare solo gli ultimi 100 Km, percorso che dà diritto ad avere la famosa “Compostela”. Da qui infatti il Camino diventa frequentatissimo. 

All’Hotel Roma abbiamo cenato e bevuto benissimo !

Attraverso numerosissimi paesini immersi nel verde, quasi  tutti con i loro caratteristici “horreos”, magazzini per conservare i cereali al riparo dei roditori, si raggiunge il bacino artificiale che ha cancellato la vecchia Portomarin, i cui resti si vedono spuntare dalle acque. Sull’altra sponda è stato costruito il nuovo paese e lì trasportato anche il monumento più importante: la cappella della Vergin de las nieves, con la prima arcata del vecchio ponte.

Si continua attraverso un paesaggio molto dolce. Ormai siamo in piena Galizia. Oltre al paesaggio, ce lo fanno capire l’umidità, i nomi di alcuni paesi come Gonzar, Toxibo, Eirexe, che ricordano l’origine celtica della lingua degli abitanti, parenti stretti degli abitanti dei paesi baschi. Una delle cose più tipiche di questa zona e anche più piacevole però è il “ pulpo alla Galliega”. Infatti oltre al pesce buonissimo incontrato e gustato lungo tutto il Camino, in Galizia si trovano le pescherie, ma anche le “pulperie” dove vendono e cucinano questa buonissima ricetta. (polipo bollito con patate lesse, sale grosso e peperoncino dolce in polvere).

In questo tratto del Camino erano molto influenti i Cavalieri di Santiago, tanto che Villar de Donas è ritenuto il luogo ufficiale di sepoltura degli stessi. Più avanti si raggiunge Palas de Rei. Il solito pellegrino medievale Aymeric, mette in guardia i viaggiatori dalla “riprovevole abitudine dettata dal diavolo” delle cameriere degli ospizi di infilarsi nel letto degli ospiti a scopo di fare un po’ di denaro e invoca la loro scomunica, nonché vengano esposte nude dopo aver loro tagliato il naso !

A metà strada dalla tappa di Arzua si trova Melid (rinomata come capitale del pulpo alla gallega; lo testimoniano le numerosissime pulperie che lo vendono sempre buonissimo. Ancora meglio se accompagnato del vino galiziano bianco, leggero e leggermente acidulo. Poco prima di Arzua passiamo per Castaneda, dove lasciamo la pietra raccolta a Tricastela.

Ci siamo; il tratto da Arzua a Santiago è classificato sulle guide come ultima tappa. In verità è lungo 39 km, e conviene dividerla in due giorni. L’elenco dei paesini che si attraversano è numerosissimo, tutti carini e simili. Il Camino è diventato pieno di gente di tutti i tipi. A differenza delle persone incontrate nei primi giorni, quando con loro si facevano dei tratti insieme chiacchierando del più e del meno, interrotti solamente dalla mancanza di fiato indotto dalla salita, ora tutti sembrano avere una gran fretta di arrivare.

Due luoghi storici sono da incontrare poco prima di arrivare alla città. Il primo che si incontra è il torrente Lavacolla che da il nome anche al paesino che attraversa nonché all’aeroporto. La tradizione vuole che i pellegrini qui si fermassero per lavarsi profondamente e completamente prima di avvicinarsi al sepolcro. Il nome deriva dal latino volgare “lavamentulas” che letteralmente significa “lava peni”.

Il secondo punto storico è il Monte del Gozo o Monte della gioia: una piccola altura dove per la prima volta i pellegrini avevano l’emozione infinita di vedere la città e la cattedrale con le sue guglie. Purtroppo l’uomo ha pensato bene di risparmiare ai pellegrini moderni questa emozione costruendo un complesso ospedaliero, ma non solo, proprio sulla sommità del monte è stato eretto un orribile monumento che ricorda il pellegrinaggio di papa Woytila.

Santiago è vicina. L’attraversamento della sua periferia è come al solito noiosissimo. Si raggiunge la cattedrale dal suo lato destro e si sbuca nella Plaza de Obradorio. La piazza è magnifica; oltre naturalmente dalla facciata barocca della cattedrale, essa  è contornata da palazzi magnifici come il palazzo de Rajoy, sede del municipio e della Giunta di Galizia o , sul fianco destro, il Parador dos Reyos Catolicos.

La cattedrale è enorme e molto bella; tralascio la sua descrizione in quanto su internet, a partire dal sito ufficiale , si trova una infinità di siti a lei dedicata che sono sicuramente fatti molto meglio di quanto sarei capace di fare io.

Non ci sottraiamo ovviamente a tutti i vari riti:  già all’ingresso nel bellissimo portico della gloria, mettiamo le dita nei 5 buchi alla base della colonna centrale, diamo una testata sempre alla stessa colonna, e infine abbraccio la statua del santo dietro all’altare.

Dopo una visita al museo, molto interessante e pieno di opere d’arte, (tra le altre il famoso braccialetto regalato da Don Suero de Quinonese e del quale ho parlato nella “Pillola” dedicata al Puente de Orbigo), usciamo e veniamo agganciati da alcuni pellegrini o semplici turisti che ci chiedono di partecipare ad una colletta per vedere in opera il “botafumeiro” , un enorme incensiere o, in termini tecnici “turibolo” alto quasi 1 metro e del peso di parecchie decine di Kg. che, solo in importanti ricorrenze, viene fatto ondeggiare attraverso tutta la navata da appositi manovratori chiamati “tiraboleiros”.  Rimango un po’ perplesso, non so se è una presa in giro oppure un tentativo di fregarmi dei soldi, o invece se purtroppo anche qui è arrivato il business.

L’usanza di far volare il grossissimo incensiere risale al medioevo, quando nella cattedrale i pellegrini si rifugiavano e dormivano pure, ma non solo, non avevano ritegno di fare anche i propri bisogni.  Qualcuno poi sicuramente non  si era fermato a Lavacolla !.  Il puzzo doveva essere terribile ed ecco che si cercava di mitigarlo con l’incenso. Non c’è motivo di meravigliarsi di ciò. Dalla caduta dell’impero romano le abitudini igieniche dell’uomo sono andate progressivamente decadendo fino a meno di 2 secoli fa. Bsta pensare, per esempio, che il grande Re Sole Luigi 14°,  a medioevo terminato da un  pezzo, fece costruire la meravigliosa reggia di Versailles praticamente senza bagni. In quei bellissimi saloni i cortigiani erano costretti a nascondersi dietro i grandi tendaggi per liberarsi con un minimo di privacy. Si narra anche che poco prima della rivoluzione francese, quindi 2 secoli dopo,  la Regina raccomandasse ai suoi sudditi di cambiarsi le mutande almeno 2 volte all’anno. ! Prego notare che anche “mutande” deriva dal latino e significa  “qualcosa che deve essere cambiata”.

Il giorno successivo facciamo un bellissimo giro dei fiordi galiziani detti “rias” con dei panorami molto belli, Raggiungiamo così il mitico Capo Finisterre, ritenuto la fine del mondo per tanti secoli.

Questo è il vero Km 0 del Camino. Già nel passato molti pellegrini lo raggiungevano, facevano il bagno nelle sue pericolosissime acque e lì raccoglievano le famose “vieras” , le conchiglie simbolo e testimonianza di aver compiuto il Camino. Raggiungiamo La Coruna, detta la città degli specchi a causa dei suoi bowindows chiusi da vetri.

Mangiamo del pesce freschissimo, ma ancora una volta non riusciamo a trovare le capesante;  sembra incredibile, ma in tutti questi anni, non ci siamo riusciti una volta !

Considerazioni finali

Nel viaggio di ritorno e anche una volta tornato, spesso mi sono chiesto se ne è valsa la pena e se, al giorno d’oggi, ancora può avere  un significato o un motivo valido compierlo.

Dato certo è che percorrere il Camino comporta, comunque lo si faccia, un importante impegno, sia di tempo, sia fisico, sia economico. La mia esperienza, durata circa 10 anni, è evidentemente solo la mia, non mi sento di dare nessun giudizio al di fuori di valutare la mia. Ognuno è convinto che la sua maniera di percorrere quei 1000 Km. sia quella giusta, così hanno ragione gli “integralisti” che si sentono di disprezzare coloro che non lo fanno completamente oppure che non dormono negli ospizi, oppure che non portano uno zaino pesantissimo come se fosse un segno di penitenza. Non mi sento nemmeno di giudicare quelli che lo fanno in bicicletta, o che percorrono a piedi solo gli ultimi Km.

Anche i motivi che spingono una persona a compierlo sono molteplici. Si passa da quelli che cercano o vedono una conferma alla loro fede e che la trovano rafforzata, a quelli che invece hanno dei loro dubbi e sperano di ritrovarla e di eliminarli. Esistono anche coloro che cercano e sperano di trovare risposte la loro posizione   contraria.

Ci sono poi anche coloro che lo compiono solo per motivi sportivi o turistici.

Qualunque sia la ragione, a mio avviso vale la pena di percorrerlo. E’ comunque un’esperienza che rimane nel proprio bagaglio di ricordi e di emozioni per tutta la vita.

Se ci si ferma un momento a pensare con un minimo di razionalità a tutta la vicenda, a cominciare dalla leggenda stessa della morte di Santiago, ma ancora prima se le sacre scritture sono veritiere o meno; alla leggenda del viaggio miracoloso del suo corpo su una barca guidata da angeli dalla Palestina fino alle coste della Galizia; al ritrovamento del suo sepolcro nonché l’autenticazione dei sui resti da parte di un oscuro vescovo di una sperduta regione che probabilmente a malapena conosceva un po’ di latino e che, senza alcuna indagine forense o anatomo patologica, si è sentito nel diritto di proclamare l’autenticità di resti umani ritrovati dopo mille anni, effettivamente qualche dubbio viene e come. D’altronde , credere è una questione di fede, e la fede o la si ha oppure no. Non si può credere un po’ sì e un po’ no a seconda del momento.

In tutte quelle ore passate a camminare ho avuto molto tempo per pensare, non ero distratto da contini input dall’esterno come avviene nella vita normale. Ho conosciuto molte persone spinte da una fede ammirevole, che si fermavano a pregare ad ogni crocifisso che incontravano, che recitavano il rosario mentre camminavano, ma quando la chiacchierata varcava i confini dei temi banali sul tempo o sul mangiare e si intraprendeva un discorso su temi più profondi,  il tutto si riduceva ad un dialogo fra sordi, loro rimanevano sulle loro posizioni ed io sulle mie. Tutto ciò nella massima correttezza e rispetto reciproco. 

L’aspetto che più disturba è sicuramente lo sfruttamento economico che sta al suo fianco, si passa dagli incontri tutto sommato simpatici e comprensibili, oltre che graditi, di ragazzini che si posizionano al bordo della strada vendendo qualche lattina o della frutta, alle strutture sempre più organizzate che, dei servizi offerti ai camminanti, ne hanno fatto una vera e propria lucrosa professione. D’altronde è sempre stato così. I pellegrinaggi muovono migliaia , se non milioni di persone ed è normale che si cerchi di sfruttare questa opportunità. Prima fra tutte la chiesa stessa ne ha sempre fatto un’occasione di guadagno. D’altronde senza la protezione della Chiesa e dei regnanti il Camino, visto anche nel contesto particolare della Spagna divisa fra Cattolici e Mori, non sarebbe mai potuto esistere, ma contemporaneamente non sarebbero esistite quelle meravigliose opere dell’uomo come le cattedrali e i monumenti più significativi. 

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