Bombay, l’altra faccia dell’India

Scendo dall’aereo dopo circa otto ore di volo un po’ stordita ed un po’ annoiata, entro nel Sahara Airport e già capisco dalla pulizia, dall’ordine e della sbalorditiva efficienza agli sportelli cambia-valuta che non sono nè a Delhi nè a Madras…
E questo mi viene confermato anche all’uscita: il piazzale è completamente pieno di taxi, tutte Fiat 1100 D nere con il tetto giallo, lucide, apparentemente integre, pronte a sfrecciare verso il centro di Bombay. Ma dove sono finiti i tuc-tuc, moto-api travestite da taxi, che affollavano le strade sia al nord che al sud e che insieme alle bici-risciò costituivano gli unici mezzi di trasporto per noi turisti? Ci sono anche a Bombay, ma, pensate, per motivi anti-inquinamento possono sì circolare all’esterno della città, ma non oltrepassare un limite stabilito, cosa concessa solo ai taxi, che per lo stesso motivo sono provvisti di impianto a gas!
Mi meraviglio di non respirare il “profumo di India”, un misto di incenso, di fiori, di spezie e di fogna a cielo aperto: tutto sommato mi manca, mi manca perchè è il segno tangibile che sei in questo Paese e che è presente da Jaipur a Tanjore, da Varanasi a Cochin. E mi manca anche tutta quella gente fuori dall’aeroporto che non si sa bene cosa faccia nonostante le ore piccole, che parla sdraiata per terra o meglio accoccolata in posizione senz’altro scomoda, mastica bethel e ti guarda con curiosità. Sì di gente che “cazzeggia” ne trovi, ma in numero nettamente inferiore rispetto alle altre metropoli. Viene spontaneo chiedermi: vuoi vedere che finalmente qui gli uomini lavorano? Sicuramente dal numero di taxi che vedo a Bombay, tantissimi hanno una occupazione e, di conseguenza, un tenore di vita decoroso. Me ne rendo conto, vedendo anche sfrecciare automobili nuovissime di marche strepitose, dalle Mercedes alle Citroen, guidate da persone abbigliate all’occidentale dall’aria manageriale.
Gironzolando per la città, arrivo in un immenso piazzale, dove sventolano milioni di indumenti stesi al sole. Mi dicono che sono le “Lavanderie centrali” di Bombay. Vi lavorano soltanto gli uomini e penso che il motivo sia perchè è troppo faticoso: per tutto il tempo che sono stata lì a scattare le foto, i lavandai non hanno mai smesso, ciascuno nel proprio box, di sbattere i panni sulle pietre! Ecco, mi dico, qui non incontrerò le donne che lavano i sari in qualsiasi pozza d’acqua, se non addirittura nei laghi o nei fiumi, per poi distenderli ad asciugare in strada o sui ghat!!!
Che non è l’India a cui sono abituata lo avevo capito subito, ma risulta ugualmente piacevole e rilassante nonostante i clacson incessanti ed il rumore trovarsi lì. Non è possibile spiegare il perchè ti senti bene in una città che potrebbe essere benissimo Napoli: è una sensazione di libertà, di serenità che ti pervade e che ti contagia.
Ritrovo e respiro il “profumo di India” al Bazar, dove mi faccio accompagnare per poche rupie da uno dei tanti tassisti… E’ un vero e proprio labirinto: sono nel Chor-Bazar, letteralmente il “mercato dei ladri”, dove pare tu possa ritrovare quello che ti è stato rubato! C’è la strada dove si vendono gomme per auto, presumibilmente, visto il nome del posto, provenienti da furti, così come la miriade di pezzi di ricambio, di attrezzi, di radio, di televisori. Riecco i vicoli polverosi, senza asfalto, tipici del Nord, brulicanti di gente multicolore e multietnica; riecco qualche vacca, animale sacro per gli indiani perchè fonte di vita religiosa e non. A dire il vero non sono tante e non le trovi a vagare senza meta nelle strade principali e quelle che vedi non sono scheletriche ma in carne, a riprova che ci troviamo in un posto decisamente più ricco.

Proseguendo la visita, mi imbatto nella zona del mercato ortofrutticolo: è un piacere vedere tutti i prodotti della terra appoggiati su stracci o in ceste di vimini, invitanti sia per l’aspetto che per il profumo; è stupefacente vedere le spezie coloratissime sistemate a piramide immobili a dispetto della loro precaria stabilità, utilizzate dagli indiani sia come elementi indispensabili in cucina che come componenti di offerte agli dei. A proposito di dei, mi imbatto in un negozietto, stracolmo di statue di gesso di varie dimensioni, rappresentanti i più popolari dei del Pantheon induista. Non posso fare a meno di entrare e di uscire con un Ganesha, forse il più simpatico ed il più adorato insieme a Shiva, sicuramente il più invocato: come Dio dell’abbondanza, come Dio che rimuove gli ostacoli e preserva dai pericoli, è oggetto di preghiere da parte di tutti quelli che iniziano una attività e viene dipinto accanto alla porta di ingresso delle abitazioni di quelli che si uniranno in matrimonio, a voler simboleggiare una vita di coppia felice e senza difficoltà. Ecco perchè, essendo Ganesha rappresentato come dio mezzo uomo e mezzo elefante, l’elefante divenne sinonimo di porta-fortuna.
Proseguendo alla scoperta di Bombay, mi dirigo verso lo splendido lungomare e lo fotografo dalla sommità di un tempio jainista: il profilo dei grattacieli ti ricorda Miami. Senza voler togliere nulla a Miami, questo ti sembra più bello perchè è più vero, più a portata di uomo normale, anche quella zona frequentata dai divi del cinema che si fanno fotografare senza reticenze e senza lasciarsi troppo pregare. E sì, Bombay, in contrapposizione ad Hollywood, viene chiamata Bollywood: si producono più film all’anno che non negli studi americani, con la possibilità di assistere alle riprese e di parlare agli attori, cosa assolutamente non permessa oltreoceano vuoi per motivi di sicurezza, vuoi, diciamocelo, anche per mantenere le distanze.
Lascio per ultima la visita del tempio di Ganesha: vado presto per evitare la coda che il martedì, giorno propizio, può raggiungere anche le 24 ore di attesa. Compro una ghirlanda di fiori come offerta e rigorosamente a piedi scalzi entro nel tempio. Capisco subito che non sei considerata una intrusa. Già all’ingresso la scritta Welcome ti fa pensare che sarai accolta come uno di loro: i sorrisi si sprecano, sia del sacerdote che dei fedeli, vengo pervasa da un intenso profumo di incenso, dono la mia ghirlanda e ricevo in cambio una offerta di qualcun altro che Ganesha ha benedetto. Esco con in mano il dolcetto ed il fiore che mi è stato dato, pensando a come siamo diversi noi in fatto accoglienza.
Ecco, questa è Bombay, la più occidentale, la più tecnologica, ma che non dimentica di essere indiana.

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